“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”

Venerdì 28 marzo 2020, alle ore 18 è avvenuto un momento straordinario.

Papa Francesco sul sagrato di Piazza San Pietro prega e chiede a Dio di far cessare la pandemia del Coronavirus. Probabilmente è stato uno di quei momenti in cui ti rendi conto che ciò che vedi sta per entrare nella Storia. Papa Francesco alla fine ha impartito la benedizione Urbi et Orbi e l’indulgenza plenaria per la remissione dei peccati.

Diciamo che solo un mese fa un’adorazione eucaristica su Rai 1 sarebbe stato qualcosa di assolutamente inimmaginabile. Ma ciò che più ha colpito è stata l’empatia del Papa, un’empatia a cui ci ha abituato da anni, ma che stavolta è stata ancora più evidente nel vuoto di una piazza immensa, un vuoto che ha contribuito a creare un misto di sensazioni, stupore e sacralità, senso di smarrimento ma anche di fiducia per quell’uomo vestito di bianco che è sembrato quasi farsi carico di tutto il dolore del mondo. Le sue parole sono riecheggiate poderose in quella piazza vuota, diramandosi e raggiungendo tutte le parti del mondo. Un’empatia fatta di gesti e parole, certo affaticati pieni di determinazione. Commuove la sua capacità nitida, profondissima e semplice al tempo stesso, di essere entrato nel cuore di milioni di persone che lo hanno seguito in TV: Il popolo di Dio, da lui spesso citato e guardato con forte rispetto. E dopo la lettura del Vangelo (la tempesta sedata Mc 4,35) il Papa ha detto la sua omelia.

Parole di fuoco che hanno riecheggiato con potenza il vuoto di piazza San Pietro e del mondo intero. Papa Francesco si è fatto carico della paura e della sofferenza globale per portare il conforto di Colui che ha vinto la morte per sempre. Sono parole che danno pace nella tempesta di questo tempo. E mai come oggi in quelle parole ci siamo dentro tutti, sì proprio tutti, credenti, dubbiosi, atei convinti. In quelle parole ci ritroviamo misteriosamente tutti figli di uno stesso Padre e ci sentiamo custoditi, protetti, rassicurati. Perché quelle parole infondono speranza e danno un senso, una prospettiva, un cammino e una meta cui poter giungere insieme.

Insomma un discorso che è risuonato come una Magna Carta per il futuro. Parole incise nella roccia che evocano un rinnovamento necessario. Volgendo al futuro nulla sarà più come prima. E forse già adesso dobbiamo orientarci verso un cambiamento radicale, che possa sostituire il noi all’io.

 

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Omelia del Santo Padre

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

Il monte degli Ulivi

 

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“È la notte che impera sulla cima centrale della breve catena di vette schierate dinanzi al Maestro.
Un colle da lui amato quando al riparo dalle folle si ritirava in silenzio o in preghiera tra i rami frondosi, quei rami che adesso gli ricordavano gli osanna.
È come un parto la metamorfosi di Dio, perché i cieli non conoscono dolore e passione.
È come un parto che esalta gli ultimi e abbatte i potenti, per far nascere il nuovo germoglio.
Il monte degli Ulivi, dove inizia la discesa, è il colle dove il sangue si colora di nuova porpora e tinge di paura e di angoscia il volto di quel Dio da sempre invocato e che nessuno vorrebbe più riconoscere.”

“Sottosopra” di Erri De Luca

Viaggio in Gabon/4 #Africa…il neocolonialismo francese, una vergogna dell’umanità.

Rivisitando il mio viaggio in Gabon non posso certo tralasciare un aspetto determinante per comprenderne l’attualità, ovvero la dipendenza neocoloniale francese e le conseguenze che questa forma di sfruttamento pluridecennale arreca alla società gabonese (e africana).

Diciamolo subito, l’usurpazione di beni e di denaro della Francia nei confronti del Gabon (e degli altri Paesi africani da lei finanziariamente sfruttati – VEDI ARTICOLO SOTTO di Mawuna Remarque Koutonin) è uno scandalo, una vergogna dell’umanità di cui non si parla mai negli organi di informazione ufficiali. E, tra l’altro, andrebbe probabilmente analizzata la correlazione che c’è tra sfruttamento neocoloniale dell’Occidente (in particolare proprio quello della Francia) nei riguardi dei Paesi africani e mediorientali, con l’origine e lo sviluppo del terrorismo che, negli ultimi anni, colpisce in particolare proprio le città transalpine.

Si tratta di un aspetto che rappresenta la più grande tragedia di cui l’Occidente è principalmente responsabile nei confronti dell’Africa. Un vero e proprio sciacallaggio che sconcerta nella sua silente ordinarietà.

Per ciò che ho potuto constatare l’Africa è un continente sorprendente e pieno di contraddizioni. Il Gabon, come ogni Paese africano, è un microcosmo di ciò che sarebbe possibile se non dilagasse la corruzione, se al potere non ci fossero dittatori, se le potenze internazionali non pensassero ad altro se non a depredare le risorse ambientali ed energetiche. Ritengo che capendo il Gabon e l’Africa avremmo l’opportunità di diventare più preparati nell’affrontare i mutamenti socioculturali e geopolitici che ormai ci interessano quotidianamente.

Estesa come superficie poco meno dell’Italia (260 mila km2) ma con una popolazione poco numerosa, meno di 2 milioni di abitanti, il Gabon è un Paese dell’Africa occidentale ricco di legname pregiato, petrolio, enormi risorse naturali dalla foresta pluviale a un suolo fertilissimo, che potrebbero farne una ricca e prospera nazione anche per via dei pochi abitanti. Eppure non è così.

Le ricchezze del Gabon sono in mano a un’esigua élite di stampo massonico con a capo la famiglia Bongo, che governa il Paese ininterrottamente dal 1964 in seguito alla formale indipendenza dalla Francia. Bongo padre (dal 1964 al 2009), Ali Bongo figlio tuttora al potere. Una dittatura familista in piena regola, legata a vincoli di corruzione e interessi di mantenimento del potere con lo Stato francese.

Il secondo giorno della mia permanenza in Gabon mi sono recato presso la dogana portuale di Owendo, vicino Libreville, accompagnato da un missionario locale. Ovviamente i militari a guardia dell’ingresso non ci hanno autorizzato ad entrare. La dogana viene gestita dal gruppo francese Bolloré, il cui fondatore Vincent Bolloré viene accusato di essere intermediario del neocolonialismo francese e di calpestare i diritti umani dei lavoratori africani. Moltissime delle materie prime importate ed esportate dal continente africano passano attraverso Bolloré. Le merci arrivano nei porti, dove il gruppo gestisce i terminal per i container, e vengono trasferite alla logistica su gomma o su rotaia in tutto il continente.

Dal porto di Libreville vengono esportate enormi quantità di petrolio, manganese, uranio e legname. Mentre, per ciò che concerne le importazioni, tutti i prodotti e le merci provengono dalla Francia. Facile dunque dedurre due particolarità: la prima è che il Gabon dipende finanziariamente (e anche politicamente) dalla Francia, verso cui vengono obbligatoriamente versati gran parte dei ricavi derivanti dalle esportazioni; la seconda, conseguente, è che i prezzi d’acquisto delle merci importate vengono fissati da Bolloré, dunque dalla Francia, che strano a dirsi alza e non di poco i prezzi di immissione della merce giunta in dogana, arrecando l’impossibilità per gran parte della popolazione di potersi permettere l’acquisto di beni di prima necessità.

Qui sotto pubblico alcune foto scattate a Port d’Owendo e altre all’interno della Cittadella della Democrazia, un’area che in passato era centro nevralgico di ambascerie e diplomazia: qui siamo riusciti ad entrare grazie ad un’iniziale svista di uno dei guardiani. Al posto del centro diplomatico il Presidente Ali Bongo vuole far costruire (non si comprende il perché, forse per capriccio personale) un enorme campo di golf. All’interno sono depositati un numero incalcolabile di pullman nuovi, inutilizzati: il padre missionario che mi accompagnava mi ha raccontato che questi servivano l’anno prima per trasportare coloro che si recavano in Gabon per assistere alle partite della Coppa d’Africa, ora invece di utilizzarli per incentivare l’ordinario servizio di trasporto pubblico (del tutto inesistente) e dunque creare vantaggi alla popolazione, vengono lasciati a marcire all’interno di un’area dismessa.

Sempre all’interno dell’area siamo passati davanti a dei container bianchi con scritta UN (Nazioni Unite), quando improvvisamente tre militari armati di macete e mitragliatrice ci hanno fermato e, dopo averci controllato i passaporti, intimato di uscire. Ovviamente non ho ritenuto conveniente fare foto in quel momento…

Di seguito propongo un articolo molto interessante scritto dall’editore Mawuna Remarque Koutonin, che spiega nel dettaglio il rapporto di dipendenza di 14 paesi africani (compreso appunto il Gabon) alla Francia, costretti a pagare la tassa coloniale francese.

Concludo ponendomi questa domanda: come possiamo non considerare la stretta connessione tra i soprusi del colonialismo (e dell’attuale neocolonialismo) perpetrato ai danni di povere popolazioni che ci considerano sfruttatori delle loro terre e delle loro vite, e l’odio alimentato da queste ingiustizie, che ha generato rancore e rabbia, desiderio di vendetta nei confronti di noi “bianchi occidentali”?

 

 

 

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14 paesi africani costretti a pagare tassa coloniale francese

di Mawuna Remarque Koutonin

Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi?

Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’elite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese.

Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate.

L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie che il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto.

Lentamente la paura serpeggiò tra le elite africane e nessuno dopo gli eventi della Guinea trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù.”

Sylvanus Olympio, il primo presidente della Repubblica del Togo, un piccolo paese in Africa occidentale, trovò una soluzione a metà strada con i francesi. Non voleva che il suo paese continuasse ad essere un dominio francese, perciò rifiutò di siglare il patto di continuazione della colonizzazione proposto da De Gaule, tuttavia si accordò per pagare un debito annuale alla Francia per i cosiddetti benefici ottenuti dal Togo grazie alla colonizzazione francese. Era l’unica condizione affinché i francesi non distruggessero prima di lasciare.Tuttavia, l’ammontare chiesto dalla Francia era talmente elevato che il rimborso del cosiddetto “debito coloniale” si aggirava al 40% del debito del paese nel 1963. La situazione finanziaria del neo indipendente Togo era veramente instabile, così per risolvere la situazione, Olympio decise di uscire dalla moneta coloniale francese FCFA (il franco delle colonie africane francesi), e coniò la moneta del suo paese. Il 13 gennaio 1963, tre giorni dopo aver iniziato a stampare la moneta del suo paese, uno squadrone di soldati analfabeti appoggiati dalla Francia uccise il primo presidente eletto della neo indipendente Africa. Olympio fu ucciso da un ex sergente della Legione Straniera di nome Etienne Gnassingbeche si suppone ricevette un compenso di $612 dalla locale ambasciata francese per il lavoro di assassino. Il sogno di Olympio era quello di costruire un paese indipendente e autosufficiente. Tuttavia ai francesi non piaceva l’idea. Il 30 giugno 1962, Modiba Keita , il primo presidente della Repubblica del Mali, decise di uscire dalla moneta coloniale francese FCFA imposta a 12 neo indipendenti paesi africani. Per il presidente maliano, che era più incline ad un’economia socialista, era chiaro che il patto di continuazione della colonizzazione con la Francia era una trappola, un fardello per lo sviluppo del paese. Il 19 novembre 1968, proprio come Olympio, Keita fu vittima di un colpo di stato guidato da un altro ex soldato della Legione Straniera francese, il luogotenente Moussa TraoréInfatti durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex legionari stranieri per guidare colpi di stato contro i presidente eletti:
  • – Il 1 gennaio 1966, Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della legione straniera, guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana.
  • – Il 3 gennaio 1966, Maurice Yaméogo, il primo presidente della Repubblica dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, fu vittima di un colpo di stato condotto da Aboubacar Sangoulé Lamizana, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei paesi.
  • – il 26 ottobre 1972, Mathieu Kérékou che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin, guidò un colpo di stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970.

Negli ultimi 50 anni un totale di 67 colpi di stato si sono susseguiti in 26 paesi africani, 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di stato si sono verificati nell’Africa francofona.

Numero dei Colpi di stato in Africa per paese

Ex colonie francesi
Altri paesi africani
Paese
Numero di colpi di stato
Paese Numero di colpi di stato
Togo 1 Egitto 1
Tunisia 1 Libia 1
Costa d’Avorio 1 Guinea Equatoriale 1
Madagascar 1 Guinea Bissau 2
Rwanda 1 Liberia 2
Algeria 2 Nigeria 3
Congo – RDC 2 Etiopia 3
Mali 2 Uganda 4
Guinea Conakry 2 Sudan 5
SUB-TOTALE 1 13
Congo 3
Ciad 3
Burundi 4
Repubblica centrafricana 4
Niger 4
Mauritania 4
Burkina Faso 5
Comores 5
SUB-TOTAL 2 32
TOTAL (1 + 2) 45 TOTALE 22

Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione.

Nel marzo del 2008, l’ex presidente francese Jacques Chirac disse:

“Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”

Il predecessore di Chirac, François Mitterand già nel 1957 profetizzava che:

“Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21mo secolo”

Proprio in questo momento mentre scrivo quest’articolo, 14 paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca centrale francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi. Finora, 2014, il Togo e altri 13 paesi africani dovranno pagare un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione.

E’ un sistema malvagio denunciato dall’Unione Europea, ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del tesoro ogni anno.

Spesso accusiamo i leader africani di corruzione e di servire gli interessi delle nazioni occidentali, ma c’è una chiara spiegazione per questo comportamento. Si comportano così perché hanno paura di essere uccisi o di restare vittime di un colpo di stato. Vogliono una nazione potente che li difenda in caso di aggressione o di tumulti. Ma, contrariamente alla protezione di una nazione amica, la protezione dell’occidente spesso viene offerta in cambio della rinuncia, da parte di quei leader, di servire il loro stesso popolo e i suoi interessi.

I leader africani lavorerebbero nell’interesse dei loro popoli se non fossero continuamente inseguiti e provocati dai paesi colonialisti.

Nel 1958, spaventato dalle conseguenze di scegliere l’indipendenza dalla Francia, Leopold Sédar Senghor dichiarò: “La scelta del popolo senegalese è l’indipendenza; vogliono che ciò accada in amicizia con la Francia, non in disaccordo.”

Da quel momento in poi la Francia accettò soltanto un’ “indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il Franco), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali.

Qui sotto ci sono le 11 principali componenti del patto di continuazione della colonizzazione dagli anni 50:

 

#1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese

I neo “indipendenti” paesi dovrebbero pagare per l’infrastruttura costruita dalla Francia nel paese durante la colonizzazione.

Devo ancora trovare tutti i dati specifici circa le somme, la valutazione dei benefici della colonizzazione e i termini di pagamento imposti ai paesi africani, ma ci stiamo lavorando (aiutaci con più info).

#2. Confisca automatica delle riserve nazionali

I paesi africani devono depositare le loro riserve monetarie nazionali nella Banca centrale francese.

La Francia detiene le riserve nazionali di quattordici paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon.

“La politica monetaria che governa un gruppo di paesi così diversi non è complicato perché, di fatto, è decisa dal ministero del Tesoro francese senza rendere conto a nessuna autorità fiscale di qualsiasi paese che sia della CEDEAO [la comunità degli stati dell’Africa occidentale] o del CEMAC [Comunità degli stati dell’Africa centrale]. In base alle clausole dell’accordo che ha fondato queste banche e il CFA, la Banca Centrale di ogni paese africano è obbligata a detenere almeno il 65% delle proprie riserve valutarie estere in un “operations account” registrato presso il ministero del Tesoro francese, più un altro 20% per coprire le passività finanziarie.

Le banche centrali del CFA impongono anche un tappo sul credito esteso ad ogni paese membro equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Anche se la BEACe la BCEAO hanno un fido bancario col Tesoro francese, i prelievi da quel fido sono soggetti al consenso dello stesso ministero del Tesoro. L’ultima parola spetta al Tesoro francese che ha investito le riserve estere degli stati africani alla borsa di Parigi a proprio nome.

In breve, più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche CFA sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente.

Gli introiti degli investimenti di questi fondi presso il Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al conteggio ma non c’è nessuna notizia che venga fornita al riguardo né alle banche né ai paesi circa i dettagli di questi scambi. Al ristretto gruppo di alti ufficiali del ministero del Tesoro francese che conoscono le cifre detenute negli “operations accounts”, sanno dove vengono investiti questi fondi e se esiste un profitto a partire da quegli investimenti, viene impedito di parlare per comunicare queste informazioni alle banche CFA o alle banche centrali degli stati africani.” Scrive Dr. Gary K. Busch

Si stima che la Francia detenga all’incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero.

Gli stati africani non hanno accesso a quel denaro.

La Francia permette loro di accedere soltanto al 15% di quel denaro all’anno. Se avessero bisogno di più, dovrebbero chiedere in prestito una cifra extra dal loro stesso 65% da Tesoro francese a tariffe commerciali.

Per rendere le cose ancora peggiori, la Francia impone un cappio sull’ammontare di denaro che i paesi possono chiedere in prestito da quella riserva. Il cappio è fissato al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Se i paesi volessero prestare più del 20% dei loro stessi soldi, la Francia ha diritto di veto.

L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto recentemente qualcosa circa i soldi delle nazioni africane detenuti nelle banche francesi. Questo qui sotto è un video in cui parla dello schema di sfruttamento francese. Parla in francese, ma questo è un piccolo sunto: “Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano.”

 

#3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel paese

La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovate nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners.

#4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici

Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime e solo dopo questi paesi possono guardare altrove. Non importa se i paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove.

Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities – acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura.

Infine, come ho scritto in un precedente articolo, Africans now Live On A Continent Owned by Europeans! [Gli africani ora vivono in un continente di proprietà degli europei !]

#5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del paese

Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi.

La situazione nel continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di stato o per qualsiasi altro scopo!

#6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel paese per difendere i propri interessi

In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli stati africani e anche di stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei paesi, gestiti interamente dai francesi.

Basi militari francesi in Africa

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Quando il presidente Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio cercò di porre fine allo sfruttamento francese del paese, la Francia ha organizzato un colpo di stato. Durante il lungo processo per estromettere Gbagbo, i carri armati francesi, gli elicotteri d’attacco e le forze speciali intervennero direttamente nel conflitto sparando sui civili e uccidendone molti.

Per aggiungere gli insulti alle ingiurie, la Francia stima che la business community francese abbia perso diversi milioni di dollari quando, nella fretta di abbandonare Abidjan nel 2006, l’esercito francese massacrò 65 civili disarmati, ferendone altri 1200.

Dopo il successo della Francia con il colpo di stato, e il trasferimento di poteri ad Alassane Outtara, la Francia ha chiesto al governo Ouattara di pagare un compenso alla business community francese per le perdite durante la guerra civile.

Il governo Ouattara, infatti, pagò il doppio delle perdite dichiarate mentre scappavano.

#7. Obbligo di dichiarare il francese lingua ufficiale del paese e lingua del sistema educativo

Oui, Monsieur. Vous devez parlez français, la langue de Molière! [, signore. Dovete parlare francese, la lingua di Molière!]

Un’organizzazione per la diffusione della lingua e della cultura francese chiamata “Francophonie” è stata creata con diverse organizzazioni satellite e affiliati supervisionati dal Ministero degli esteri francese.

Come dimostrato in quest’articolo, se il francese è l’unica lingua che parli, hai accesso al solo 4% dell’umanità, del sapere e delle idee. Molto limitante.

#8. Obbligo di usare la moneta coloniale francese FCFA

Questa è la vera mucca d’oro della Francia, tuttavia è un sistema talmente malefico che finanche l’Unione Europea lo ha denunciato. La Francia però non è pronta a lasciar perdere il sistema coloniale che inietta all’incirca 500 miliardi di dollari africani nelle sue casse.

Durante l’introduzione dell’Euro in Europa, altri paesi europei scoprirono il sistema di sfruttamento francese. Molti, soprattutto i paesi nordici, furono disgustati e suggerirono che la Francia abbandoni quel sistema. Senza successo.

#9. Obbligo di inviare in Francia il budget annuale e il report sulle riserve

Senza report, niente soldi.

In ogni caso il ministero della Banche centrali delle ex colonie, e il ministero dell’incontro biennale dei ministri delle finanze delle ex colonie è controllato dalla Banca Centrale francese/Ministero del Tesoro.

#10. Rinuncia a siglare alleanze militari con qualsiasi paese se non autorizzati dalla Francia

I paesi africani in genere sono quelli che hanno il minor numero di alleanze militari regionali. La maggior parte dei paesi ha solo alleanze militari con gli ex colonizzatori! (divertente, ma si può fare di meglio!).

Nel caso delle ex colonie francesi, la Francia proibisce loro di cercare altre alleanze militari eccetto quelle che vengono offerte loro.

#11. Obbligo di allearsi con la Francia in caso di guerre o crisi globali

Più di un milione di soldati africani hanno combattuto per sconfiggere il nazismo e il fascismo durante la seconda guerra mondiale.

Il loro contributo è spesso ignorato o minimizzato, ma se si pensa che alla Germania furono sufficienti solo 6 settimane per sconfiggere la Francia nel 1940, quest’ultima sa che gli africani potrebbero essere utili per combattere per la “Grandeur de la France” in futuro.

C’è qualcosa di psicopatico nel rapporto che la Francia ha con l’Africa.

Primo, la Francia è molto dedita al saccheggio e allo sfruttamento dell’Africa sin dai tempi della schiavitù. Poi c’è questa mancanza di creatività e di immaginazione dell’elite francese a pensare oltre i confini del passato e della tradizione.

Infine, la Francia ha 2 istituzioni che sono completamente congelate nel passato, abitate da “haut fonctionnaires” paranoici e psicopatici che diffondono la paura dell’apocalisse se la Francia cambiasse, e il cui riferimento ideologico deriva dal romanticismo del 19° secolo: sono il Ministero delle Finanze e del Budget della Francia e il Ministero degli Affari esteri della Francia.

Queste 2 istituzioni non solo sono una minaccia per l’Africa ma anche per gli stessi francesi.

Tocca a noi africani liberarci, senza chiedere permesso, perché ancora non riesco a capire, per esempio, come possano 450 soldati francesi in Costa d’Avorio controllare una popolazione di 20 milioni di persone!?

La prima reazione della gente subito dopo aver saputo della tassa coloniale francese consiste in una domanda: “Fino a quando?”

Per paragone storico, la Francia ha costretto Haiti a pagare l’equivalente odierno di $21 miliardi dal 1804 al 1947 (quasi un secolo e mezzo) per le perdite subite dai commercianti di schiavi francesi dall’abolizione della schiavitù e la liberazione degli schiavi haitiani.

I paesi africani stanno pagando la tassa coloniale solo negli ultimi 50 anni, perciò penso che manchi un secolo di pagamenti!

di Mawuna Remarque KOUTONIN

Fonte: siliconafrica.com

http://www.africanews.it/14-paesi-africani-costretti-a-pagare-tassa-coloniale-francese/

“Io seguo la mia coscienza” Sophie Scholl

Oggi 25 aprile, festa della Liberazione, credo che, al di là delle consuete contrapposizioni ideologiche, sia fondamentale ricordarsi di seguire sempre la propria coscienza.

Perché è lì che si custodisce la Verità e il coraggio di proclamarla.

 

 

Nel febbraio 1943 un gruppo di dissidenti tedeschi vennero giustiziati dal nazismo per le loro idee su giustizia, conoscenza e difesa della verità.

Sono i ragazzi della Rosa Bianca, un movimento nato dal coraggio e dall’intraprendenza di alcuni studenti di medicina dell’università di Monaco, tra cui Sophie Magdalena Scholl, Hans Fritz Scholl e Christoph Hermann Probst, che si opposero al regime nazionalsocialista tedesco, distribuendo volantini nelle università di Monaco e di altre città tedesche: brevi testi, scritti a macchina e poi stampati in ciclostile, firmati La Rosa Bianca, con cui incitavano il popolo alla resistenza e al risveglio culturale contro il nazismo, sottolineando lo stato di profondo degrado in cui era caduto il popolo tedesco, privato della sua libertà e della sua dignità.

L’esperienza ebbe fine il 18 febbraio del 1943, quando Hans Scholl e sua sorella Sophie vennero sopresi, mentre distribuivano volantini nell’università di Monaco. Dopo essere stati sorpresi e denunciati, furono arrestati dalla Gestapo. La polizia segreta nazista interrogò i giovani e perquisì le loro abitazioni. Il 22 febbraio si tenne a Monaco il processo contro Hans e Sophie Scholl. L’accusa fu di antipratiottismo, favoreggiamento del nemico e alto tradimento. Dopo qualche ora furono condannati a morte. L’esecuzione, mediante ghigliottina, venne eseguita nel giro di pochi giorni.

Quando, nel corso dell’interrogatorio, l’investigatore nazista Robert Mohr chiese a Sophie Scholl:

“Perché, così giovane, corri simili rischi per idee che non hanno fondamento?”

Sophie Scholl rispose:

“Io seguo la mia coscienza.”

 

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Il perdono salverà il mondo

Una delle scene cinematografiche più emozionanti e belle di tutti i tempi, tratta dal film Mission. Quando il mercenario e cacciatore di Indios Rodrigo Mendoza (Robert De Niro), dopo avere ucciso per motivi passionali suo fratello a duello e aver tentato di lasciarsi morire per il rimorso, si converte grazie all’incontro col gesuita padre Gabriel (Jeremy Irons). Decidendo così di iniziare un estenuante percorso di penitenza e di conversione, trascinando con sé una lunga fune e la propria armatura, rinchiusa all’interno di una rete, sopra cascate e dirupi scoscesi. Rodrigo cammina per giorni portandosi dietro il suo sacco, la sua zavorra, il suo peccato… fino a quando accoglie il perdono degli Indios e poi quello verso se stesso.

Ed è lo stesso indio che avvicinandosi col coltello per ucciderlo, lo usa invece per tagliare la fune e far cadere il sacco nel fiume. Liberando così Rodrigo, che con un pianto liberatorio sente finalmente l’amore incondizionato di Dio verso di sé.

Una scena stupenda, all’interno di un film meraviglioso, che descrive in modo sublime la bellezza del perdono, la scintilla miracolosa che unisce cielo e terra in un abbraccio. Quel sacco lasciato cadere nel fiume è l’autentica rivoluzione del nostro tempo, un tempo dove l’odio e il desiderio di sopraffazione reciproci sembrano le regole imprescindibili del vivere comune.

Un tempo dove il perdono salverà il mondo, liberandolo e liberandoci dalle zavorre del peccato.

«Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia»

San Paolo nella lettera ai Romani (Rm 5,20)

Un artista non è mai povero… “Il pranzo di Babette”

“Il pranzo di Babette” narra la storia di Babette,  una donna sfuggita alla repressione della Comune di Parigi del 1871 durante la quale il generale Galliffer decretò la morte del figlio e del marito, giunta in un piccolo e triste villaggio della Danimarca. In questo luogo lei riesce, grazie al suo talento e al suo immenso estro, a trasmettere alla gente emozioni mai vissute prima. Facendolo sempre con umiltà. Dopo aver vinto diecimila franchi d’oro alla lotteria, Babette organizza un pranzo dove tutti sono invitati. Un pranzo dove gli abitanti vengono come liberati da una sorta di sonno interiore e moralismo dottrinale. Babette ordina i cibi più raffinati, tovaglie e stoviglie pregiate, liquori e vini sconosciuti ai palati dei compaesani. Grazie a questo gesto Babette dona una vitalità che irrompe nella monotonia di tutto il villaggio.

Vivere per esprimere il proprio talento, facendosi dono. Arrivando persino ad annullare se stessi. Dando il meglio di sé per rendere felici gli altri…

Non a caso “Il pranzo di Babette” è il film preferito di Papa Francesco. Film assolutamente da vedere e meditare…

 

Babette

 

Alla fine di un altro lungo silenzio Babette fece all’improvviso un sorrisetto, e disse:
“E come potrei tornare a Parigi,mesdames? Io non ho danaro”
“Non avete danaro?” gridarono le sorelle, come con una bocca sola. “No” disse Babette.
“Ma i diecimila franchi che hai vinto alla lotteria?” chiesero le sorelle, ansimando inorridite.
“I diecimila franchi sono stati spesi, mesdames” disse Babette.
Le sorelle si misero a sedere. Per un intero minuto non riuscirono a parlare.
“Ma diecimila franchi?” sussurrò lentamente Martina.
“Che volete, mesdames” disse Babette, con grande dignità. “Un pranzo per dodici al Café Anglais costerebbe diecimila franchi…”
“Cara Babette,” disse  una delle sorelle con dolcezza, “non dovevate dar via tutto quanto avevate per noi”.
Babette avvolse le sue padrone in uno sguardo profondo, uno strano sguardo: non v’era, in fondo ad esso, pietà e forse scherno?
“Per voi?” replicò. “No. Per me.”
Si alzò dal ceppo e si fermò davanti alle sorelle, ritta. “Io sono una grande artista,” disse. Aspettò un momento, poi ripetè: “Sono una grande artista, mesdames.”
Poi, per un pezzo, vi fu in cucina un profondo silenzio.
Allora Martina disse:”E adesso sarete povera per tutta la vita, Babette?”
“Povera?” disse Babette. Sorrise come a se stessa. “No. Non sarò mai povera. Un grande artista, mesdames, non è mai povero…Per tutto il mondo risuona un lungo eco che esce dal cuore dell’artista…consentitemi di dare tutto il meglio di me”.

 

I ragazzi della Rosa Bianca, un esempio di eroismo e bellezza

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Nel febbraio 1943 un gruppo di dissidenti tedeschi vennero giustiziati dal nazismo per le loro idee su giustizia, conoscenza e difesa della verità.

Sono i ragazzi della Rosa Bianca, un movimento nato dal coraggio e dall’intraprendenza di alcuni studenti di medicina dell’università di Monaco, tra cui Sophie Magdalena Scholl, Hans Fritz Scholl e Christoph Hermann Probst, che si opposero al regime nazionalsocialista tedesco, distribuendo volantini nelle università di Monaco e di altre città tedesche: brevi testi, scritti a macchina e poi stampati in ciclostile, firmati La Rosa Bianca, con cui incitavano il popolo alla resistenza e al risveglio culturale contro il nazismo, sottolineando lo stato di profondo degrado in cui era caduto il popolo tedesco, privato della sua libertà e della sua dignità.

L’esperienza ebbe fine il 18 febbraio del 1943, quando Hans Scholl e sua sorella Sophie vennero sopresi, mentre distribuivano volantini nell’università di Monaco. Dopo essere stati sorpresi e denunciati, furono arrestati dalla Gestapo. La polizia segreta nazista interrogò i giovani e perquisì le loro abitazioni. Il 22 febbraio si tenne a Monaco il processo contro Hans e Sophie Scholl. L’accusa fu di antipratiottismo, favoreggiamento del nemico e alto tradimento. Dopo qualche ora furono condannati a morte. L’esecuzione, mediante ghigliottina, venne eseguita nel giro di pochi giorni.

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Quando, nel corso dell’interrogatorio, l’investigatore nazista Robert Mohr chiese a Sophie Scholl:

“Perché, così giovane, corri simili rischi per idee che non hanno fondamento?”

Sophie Scholl rispose:

“Io seguo la mia coscienza.”

 
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