Chi c’è dietro quel migrante?

Venerdì 28 ottobre abbiamo accompagnato sedici adolescenti del nostro oratorio al Memoriale della Shoah (Binario 21) in Stazione Centrale a Milano, e aiutato i volontari della Comunità di Sant’Egidio a servire i pasti e fare accoglienza a circa cinquanta migranti, perlopiù provenienti dall’Eritrea.

Nel corso della serata nei volti dei nostri ragazzi si percepiva un susseguirsi di timore, curiosità, stupore e gioia, frutto dell’aver tolto pregiudizi, diffidenze e barriere, facendo crescere il desiderio di vivere un tempo di gioia condivisa.

L’ascolto di tragici racconti dei loro coetanei (o poco più grandi) ha lasciato il segno nei loro sguardi; alla fine della serata era evidente la consapevolezza di questa tragica realtà. Gli sguardi erano molto attenti nell’ascoltare l’itinerario pazzesco che i profughi hanno dovuto compiere lasciando le proprie case e famiglie in Eritrea, andando a piedi in Etiopia, e poi ammassati per diversi giorni senza acqua e cibo nei cassoni di pick up 4×4 diretti verso il Sudan, nel deserto del Sahara, giungendo in Libia, quest’ultima considerata “l’inferno dei migranti”, dove sono oggetto di sfruttamento dei trafficanti e degli scafisti, che li fanno imbarcare per giungere nelle nostre coste a condizione che paghino loro somme di alcune migliaia di euro. Diversamente sono costretti a restare all’interno di vere e proprie carceri, incontrando molto spesso la morte (sulle condizioni dei migranti una volta giunti in Libia è molto interessante il drammatico reportage pubblicato da Angela Tognolini per Botton Up, https://thebottomup.it/2016/09/20/linferno-dei-migranti-cosa-succede-ai-rifugiati-in-libia/ ).

 

 

Gli occhi dei nostri ragazzi osservavano con un altro sguardo i volti dei migranti, e all’uscita dal Memoriale, tornando a casa,  felici per quanto donato e ricevuto una domanda ci accomunava tutti…

“Chi c’è dietro quel migrante?”

Se un adolescente italiano incontra un migrante…

Venerdì 28 ottobre, insieme agli ad altri educatori e a don Gabriele, abbiamo accompagnato sedici adolescenti del nostro oratorio al Memoriale della Shoah (Binario 21) in Stazione Centrale a Milano. Abbiamo aiutato alcuni volontari della Comunità di Sant’Egidio a servire i pasti e fare accoglienza a circa cinquanta migranti, perlopiù provenienti dall’Eritrea.

Nel corso della serata nei volti dei ragazzi si percepiva il susseguirsi di timore, curiosità, stupore e gioia, frutto dell’essere stati capaci di scardinare pregiudizi, diffidenze e barriere, facendo crescere il desiderio di vivere un tempo di gioia condivisa, lasciandosi andare con coraggio e fiducia. Alcuni di loro hanno addirittura dovuto “lottare” pur di esserci, contro qualche familiare che non si fidava. L’ascolto di tragici racconti dei loro coetanei (o poco più grandi) ha lasciato il segno nei loro sguardi; alla fine della serata era evidente la consapevolezza di questa tragica realtà. Gli sguardi erano molto attenti nell’ascoltare l’itinerario pazzesco che i profughi hanno dovuto compiere lasciando le proprie case e famiglie in Eritrea, andando a piedi in Etiopia, e poi ammassati per diversi giorni senza acqua e cibo nei cassoni di pick up 4×4 diretti verso il Sudan, nel deserto del Sahara, giungendo in Libia, quest’ultima considerata “l’inferno dei migranti”, dove i migranti sono oggetto di sfruttamento dei trafficanti e degli scafisti, che li fanno imbarcare per giungere nelle nostre coste a condizione che paghino loro somme di alcune migliaia di euro. Diversamente sono costretti a restare all’interno di vere e proprie carceri, incontrando molto spesso la morte (sulle condizioni dei migranti una volta giunti in Libia è molto interessante il drammatico reportage pubblicato da Angela Tognolini per Botton Up, https://thebottomup.it/2016/09/20/linferno-dei-migranti-cosa-succede-ai-rifugiati-in-libia/).

E’ stata un’esperienza indimenticabile per i nostri ragazzi, perché hanno toccato con mano la dura realtà di chi è costretto a lasciare tutto per cercare un rifugio dove poter ricominciare a vivere, nella speranza di costruire un futuro migliore. Ma hanno anche compreso che questi sono giovani come loro, con gli stessi desideri, sogni e speranze.

Ridendo, cantando e commuovendosi, i ragazzi hanno portato vita, donando due ore di allegria e speranza a chi è più sfortunato di loro. Il Memoriale, che di per sé è un luogo buio, si è illuminato del calore fraterno scoperto nello stare insieme.

Ora sta a noi fare in modo che questa esperienza possa far crescere nei loro cuori delle domande fondamentali e un desiderio di bene da alimentare e fare ardere nel dono di sé, per diventare strumenti di pace e fratellanza nel mondo.

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Lasciamo in pace l’Africa!

Leggere questo articolo lascia un sapore amaro.. perché descrive senza mezzi termini le colpe storiche dell’Occidente nei confronti dell’Africa.
I Paesi europei che erigono muri e fili spinati contro gli immigrati africani sono gli stessi che continuano, ancora oggi, a depredare le materie prime (e non solo) dell’Africa.

“L’esodo attraverso il Mediterraneo (dei migranti) non è solo il risultato di miserie attuali. È conseguenza del più grande crimine nella storia dell’umanità: un delitto perpetrato a Londra, Parigi e Bruxelles – e che ora continua con il concorso di Pechino. Un crimine che ha causato, dice l’ex-capo Onu Kofi Annan, oltre 250 milioni di morti (neri): per farsi un’idea, il doppio dei morti (bianchi) nelle due guerre mondiali…
Una parola sintetizza la tragedia africana: sfruttamento.”

“Forse l’Europa andrebbe ripensata e rigenerata. A partire da una necessaria geopolitica della solidarietà, dove l’essere umano sia posto di nuovo al centro.”

Cit.”La Piuma tra cielo e terra”

Mi chiedo se il crimine dell’Occidente sopra descritto resterà immutato anche a cospetto delle accuse delle prossime generazioni. Potrà un nuovo umanesimo concepire il rispetto e la dignità di ogni vita umana, da qualsiasi direzione essa provenga?

E dove l’Africa possa essere lasciata in pace da noi occidentali, abituati a sfruttarla da secoli dei suoi beni più preziosi e della sua dignità.

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http://www.lastampa.it/2016/10/24/esteri/cos-dopo-secoli-di-sfruttamento-leuropa-chiude-le-porte-allafrica-bpeaVQ1p3ech1uMJekN37O/pagina.html   di Antonio Maria Costa – LA STAMPA

LA BATTAGLIA DI MOSUL

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L’offensiva curdo-irachena sotto la protezione USA per riconquistare la città di Mosul, nel nord dell’Iraq, e toglierla dalle mani dell’Isis, se da una parte porta con sé grande speranza, dall’altra mette i brividi…c’è infatti il rischio che la popolazione di Mosul possa ritrovarsi presa come in una morsa: da una parte gli eserciti che avanzano per liberare la città, dall’altra il Daesh che utilizza migliaia di abitanti come scudi umani a difesa della stessa.
E, in ultimo, vi è il concreto rischio che centinaia di migliaia di sfollati (se non un milione) possano abbandonare Mosul.
Sarebbe una catastrofe umanitaria.
Il dubbio che questa mossa possa essere dettata dal bisogno urgente da parte dell’amministrazione Obama, di mettere il sigillo su un successo militare in politica estera e ottenere i favori dell’opinione pubblica a me è venuto…
Sarò maligno ma mi chiedo come mai ci si sia mossi soltanto ora e non nei due anni precedenti.
Che cosa succederà fra due mesi, quando gli USA avranno scelto il loro presidente (quasi sicuramente Hillary Clinton) e il caos in Iraq tornerà a non interessare più nessuno?

Giornata Mondiale della Salute Mentale…un ricordo di vent’anni fa.

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Oggi si celebra la giornata mondiale della salute mentale.

I disturbi mentali riguardano 164 milioni di europei, vale a dire il 38,2% della popolazione totale. Numeri che fanno rabbrividire. In Italia la malattia mentale riguarda 17 milioni di persone. Siamo a circa un terzo della popolazione complessiva.

Probabilmente andrebbero fatte molte considerazioni in merito, la più ovvia è quella che la nostra è una società malata. E che, nonostante ciò, fa finta di non esserlo… Sarebbe anche interessante sapere se talvolta i veri malati siano quelli dentro le strutture psichiatriche oppure fuori.

Circa vent’anni fa fui destinato in provincia di Vicenza presso una comunità di malati mentali, come obiettore di coscienza. Lì trascorsi ben undici mesi. Da quell’esperienza scaturì il mio primo libro, intitolato “Sto malissimo”.

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Ecco un estratto, la storia di Rosa… “La rosa più bella”.

“Oggi Rosa è morta. L’hanno trovata sola in casa, stesa a terra, dissanguata con una siringa infilata nel braccio. Causa della morte, overdose.” Questa è la storia di Rosa, una donna calpestata dal peso della nostra società, che non ha tempo di fermarsi e aiutare chi, come lei, è affetto da grandi problemi. Nei suoi occhi si leggevano le umiliazioni e le frustrazioni subite nel corso di trentasette anni pieni di sofferenze, solitudine e abbandoni. I suoi occhi, bellissimi, grandi e scuri, esprimevano quello che Rosa non voleva raccontare. I suoi occhi, tanto intensi, rappresentavano la tristezza della sua esistenza. E il suo sorriso, raro a vedersi, come gli occhi era spento. Quando però la vedevo sorridere mi sentivo felice, nonostante fossi conscio della sua situazione mi illudevo per qualche istante che quel sorriso potesse donarle un po’ di felicità, giusto quel poco che le sarebbe servito in passato per farle evitare certe esperienze.

Sieropositiva, violentata dal padre dal quale ebbe due figli, Rosa si prostituì e chiese l’elemosina per mantenersi, ebbe una relazione con un tossicodipendente poi morto di Aids e lei stessa fece uso abituale di eroina, oltre a essere stata alcolista. Ma la sua presenza in comunità, secondo i medici, era da attribuire soltanto ai suoi gravi disturbi mentali e psichici. Fin dal primo giorno ebbi l’impressione che Rosa tendesse con facilità a mettersi in mostra, lamentandosi per ogni problema, anche inesistente. Era evidente che non amava vivere in comunità. Rosa era zingara rom ed era orgogliosa del suo atteggiamento libero e selvaggio. Tutto ciò rendeva difficile poter gestire le sue metamorfosi e la sua asprezza, considerando inoltre la mancanza di attrezzature compatibili con la sua sieropositività, che rendeva la comunità un luogo inadatto per poter pensare a programmi di reinserimento. Comunque la psicologa della comunità, insieme agli assistenti sociali, aveva progettato un suo reinserimento parziale nella società, con l’obiettivo di farla vivere in una casa tutta sua. La sua presenza era motivo costante di tensione. Se una persona le stava antipatica lei la provocava in ogni modo possibile, offendendola pesantemente e subito dopo, con inaudita sfrontatezza, si rivolgeva a quella stessa persona chiedendo una sigaretta o un caffè. Probabilmente era dovuto alla sua mancanza di memoria causata dal pesante uso di droghe che fece per anni. Facilmente dimenticava i nomi delle persone, aveva scarsa cognizione spazio temporale e, soprattutto, era incapace di concludere un discorso. A volte lo iniziava e dopo un po’ si rivolgeva a qualcuno chiedendo se anch’egli aveva visto la Madonna, oppure udito voci spettrali che la chiamavano…

Spesso l’accompagnavo a ritirare la pensione o per informarsi sul trasloco dei mobili dalla sua vecchia casa, in quella nuova promessa dalla psicologa (nonché coordinatrice della comunità). Talvolta ci si fermava al bar per bere un caffè, scambiando quattro chiacchiere, nonostante la sua reticenza nel confidarsi. Ricordo il giorno in cui, insieme all’assistente sociale, accompagnai Rosa nella vecchia casa per decidere cosa portare in quella nuova. Non era una casa, ma un immondezzaio dove topi e scarafaggi erano i veri padroni. Sinceramente mi risultava complicato credere che Rosa potesse essere autosufficiente dentro una casa nuova, viste le condizioni di quella vecchia, ma ero convinto che a differenza di prima non sarebbe stata più sola. Il Comune e la psicologa infatti l’avrebbero supportata. Almeno così credevo. Osservando l’assistente sociale non riuscivo a decifrare i suoi silenzi e la sua impassibilità alle domande e considerazioni di Rosa, notavo una sua totale indifferenza alla prospettiva che una donna con tali problemi potesse incontrare ostacoli insormontabili se lasciata sola. Sebbene i progetti fossero ormai definitivi, a me Rosa sembrava tutto tranne che una donna autosufficiente! Le colpe non erano certo dell’assistente sociale, semplice burattino manovrato da altri. Rosa, raggiante di felicità, lasciò la comunità e col consenso dei medici e della psicologa/coordinatrice si recò nel suo nuovo appartamento. Fu organizzata anche una prestigiosa cerimonia, e invitati numerosi giornalisti che riportarono sui quotidiani locali l’enfasi per quell’avvenimento che aveva del prodigioso: una donna sieropositiva con problemi mentali era diventata improvvisamente autonoma…

Dopo quindici giorni, a seguito di una grave crisi, Rosa fu trasferita in un ospedale psichiatrico e dopo un mese di degenza tornò definitivamente nella sua casa. Nessun medico o responsabile della comunità si ricordò più di lei. Purtroppo di questa vicenda si conosce soltanto il triste epilogo, scritto dagli stessi responsabili che decisero il trasferimento di Rosa nella nuova casa, lasciandola sola.

Dopo il “successo politico” non solo non interessò più, ma divenne probabilmente un peso troppo ingombrante da mantenere. E bisognava disfarsene.

Poco prima di finire il mio percorso da obiettore mi venne consegnato un foglio stropicciato, scritto da Rosa prima di morire. Era il suo testamento spirituale.

“E’ da tanto tempo che volevo una casa. Non vi sto qui a raccontare, vi dico solo che ho fatto un anno in comunità e soffrivo. Ora sono a casa e soffro ancora. Sono stanca di pregare…sono stanca di questa vita, io spero che il buon Dio mi porti presto con lui. Ciao, vi voglio bene anche se non vi conosco.”

Qui sotto un articolo molto interessante sulla situazione attuale della malattia mentale in Italia e in Europa, pubblicato su La Stampa.

http://www.lastampa.it/2016/10/10/scienza/benessere/giornata-della-salute-mentale-il-primo-aiuto-argina-i-traumi-6ey6NGMDFbGutOvtsJE17I/pagina.html