Dove stiamo andando a finire?

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Ma dove stiamo andando a finire?

Fa rabbrividire la mostruosità di questo gesto, la superficialità e il vuoto viscerale di individui che al di là dell’immagine che vogliono mostrare al mondo non possono certo essere definiti uomini.

Perché non lo sono. Ma neanche bestie, sarebbe infatti un complimento e un’offesa per le bestie.Pensavamo che questa pandemia avrebbe portato con sé l’opportunità di vederci rinnovati come individui e come società, in realtà sembra proprio che non abbiamo capito niente. L’odio e la violenza vanno avanti, alimentati da una cultura che nega la cultura, il pensiero, il rispetto per la vita. E che alimenta una voragine di ignoranza, il bisogno di sopraffazione e di indifferenza. L’incapacità di dare un nome alle proprie paure. Il bisogno di trovare sempre e comunque un capro espiatorio. E, va detto, sostenuti non poche volte da una certa politica che riflette e sostiene questo immane degrado.

Dove va a finire una società che ha come caposaldo il culto dell’immagine, di una forza stereotipata, e che dietro di sé nasconde in realtà enormi crepe di insicurezze e immaturità?

Una società che vede nell’altro, nel diverso da ciò che è omologato, una minaccia da sopprimere?

Una società che quindi ha bisogno di mostrare il culto della forza per non far vedere le proprie fragilità e debolezze?

Sembra che non ci sia alcuna speranza…

Ma non è così. È proprio Willy il segno di una speranza che risplende e risplenderà per sempre.Perché chi non volta lo sguardo dall’altra parte dinanzi a soprusi e ingiustizie ed è disposto a dare la vita, in realtà non morirà mai.E il suo nome è scritto per sempre nei Cieli.

“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”

Venerdì 28 marzo 2020, alle ore 18 è avvenuto un momento straordinario.

Papa Francesco sul sagrato di Piazza San Pietro prega e chiede a Dio di far cessare la pandemia del Coronavirus. Probabilmente è stato uno di quei momenti in cui ti rendi conto che ciò che vedi sta per entrare nella Storia. Papa Francesco alla fine ha impartito la benedizione Urbi et Orbi e l’indulgenza plenaria per la remissione dei peccati.

Diciamo che solo un mese fa un’adorazione eucaristica su Rai 1 sarebbe stato qualcosa di assolutamente inimmaginabile. Ma ciò che più ha colpito è stata l’empatia del Papa, un’empatia a cui ci ha abituato da anni, ma che stavolta è stata ancora più evidente nel vuoto di una piazza immensa, un vuoto che ha contribuito a creare un misto di sensazioni, stupore e sacralità, senso di smarrimento ma anche di fiducia per quell’uomo vestito di bianco che è sembrato quasi farsi carico di tutto il dolore del mondo. Le sue parole sono riecheggiate poderose in quella piazza vuota, diramandosi e raggiungendo tutte le parti del mondo. Un’empatia fatta di gesti e parole, certo affaticati pieni di determinazione. Commuove la sua capacità nitida, profondissima e semplice al tempo stesso, di essere entrato nel cuore di milioni di persone che lo hanno seguito in TV: Il popolo di Dio, da lui spesso citato e guardato con forte rispetto. E dopo la lettura del Vangelo (la tempesta sedata Mc 4,35) il Papa ha detto la sua omelia.

Parole di fuoco che hanno riecheggiato con potenza il vuoto di piazza San Pietro e del mondo intero. Papa Francesco si è fatto carico della paura e della sofferenza globale per portare il conforto di Colui che ha vinto la morte per sempre. Sono parole che danno pace nella tempesta di questo tempo. E mai come oggi in quelle parole ci siamo dentro tutti, sì proprio tutti, credenti, dubbiosi, atei convinti. In quelle parole ci ritroviamo misteriosamente tutti figli di uno stesso Padre e ci sentiamo custoditi, protetti, rassicurati. Perché quelle parole infondono speranza e danno un senso, una prospettiva, un cammino e una meta cui poter giungere insieme.

Insomma un discorso che è risuonato come una Magna Carta per il futuro. Parole incise nella roccia che evocano un rinnovamento necessario. Volgendo al futuro nulla sarà più come prima. E forse già adesso dobbiamo orientarci verso un cambiamento radicale, che possa sostituire il noi all’io.

 

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Omelia del Santo Padre

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

Venti di guerra…

Un lancio di missili lanciati da un drone e indirizzati a due auto nel centro di Baghdad. Così gli Stati Uniti hanno ucciso Qassem Soleimani, uno degli uomini più potenti dell’Iran, capo delle Forze Quds, le forze speciali delle Guardie della Rivoluzione. Il raid contro Soleimani è stato personalmente ordinato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che la ha definita per bocca del Pentagono “un’azione difensiva“. I vertici della Repubblica Islamica hanno prontamente minacciato durissime ritorsioni contro gli USA. Inoltre Teheran promette di vendicare la morte del generale “nel momento e nel luogo più opportuni“. Intanto, milioni di persone sono scese in piazza nella capitale iraniana per protestare contro il criminale attacco perpetrato dagli americani…

Il tweet qui sotto è la chiara dimostrazione dell’incredibile affluenza di persone ai funerali di Soleimani quest’oggi. Credo che quanto meno dovremmo riflettere dinanzi a tutto questo.

Cosa accadrà adesso? Difficile dirlo. Due cose sono certe, innanzitutto la ritorsione iraniana ci sarà e questo attentato alimenterà le già elevate tensioni tra USA e Iran. La seconda è che la presidenza americana è presieduta da personalità incompetenti che si improvvisano strateghi politici, ma che in realtà agiscono per scellerato e bieco istinto e sulla base di logiche (?) finalità elettorali. Un atteggiamento incomprensibile e indifendibile dell’Amministrazione Trump, che pare procedere senza alcuna seria pianificazione strategica, con azioni avventate, ormai oggetto dei colpi di testa di consiglieri estremisti e impreparati.

Ci si deve davvero domandare nelle mani di chi è messa la sicurezza mondiale…

Nel frattempo qui in Italia una politica assente e senza nerbo dovrebbe quantomeno pronunciarsi sull’ipotesi che il drone sia partito dalle basi di Sigonella (e ciò sarebbe gravissimo). Inoltre, come al solito, la nostra informazione pubblica fa di tutto per annacquare la realtà dei fatti, arrivando addirittura a presentare una totalmente falsata divisione tra sciiti e sunniti nel contesto mediorientale.

In ultimo, una considerazione sulla nostra opinione pubblica, perlopiù ignorante e superficiale, che preferisce guardare soltanto il proprio orticello ritenendo che basti questo, riducendo il complesso contesto internazionale con frasi tipo “non sono problemi nostri” o “l’importante è che se ne stiano a casa loro”.  Senza pensare che populismo, ipocrisia e disinformazione non sono certo gli antidoti per contrastare le migrazioni di massa causate dalle guerre imposte dagli “esportatori di democrazia” o dalla povertà indotta dal capitalismo occidentale.

Noi continuiamo pure a tenere la testa sotto la sabbia, lasciando che siano i Salvini o le sardine di turno a pensare al posto nostro!

Qui sotto l’imbarazzante grafico del TG1 di ieri…

 

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Realtà o immaginazione…cosa preferite?

Che strano tempo il nostro…rifugge il reale e cerca illogiche scappatoie verso l’irrazionalità del suo essere. Un po’ come un gatto che continua a mordersi la coda senza sapere perché lo fa…Siamo immersi in questa specie di frullatore che tutto mescola, tutto confonde, tutto cela sotto una fitta nebbia: realtà e immaginazione diventano un’unica cosa difficile da separare. Diventa difficile dare un nome alle cose (qualcuno ricorda 1984 di George Orwell e il significato di neolingua?). Soprattutto quando c’è un sistema di potere che strumentalizza e giustifica questo corto circuito, si insinua nell’alimentare il metodo del divide et impera per renderci una massa indistinta e avulsa. E così aderiamo al pensiero unico dell’ideologia di parte per non avere neanche il disturbo di pensare. Come tifosi che vivono per il successo della propria squadra… conta soltanto quello nella vita. Perché ormai è tutto pronto, basta un like o un mi piace per farci sentire vivi. E non ci rendiamo conto che in realtà siamo soltanto utili al sistema, pronti per essere indirizzati verso un potere globale che tutto vuole, tranne che la nostra felicità.

Se non fosse tragica la situazione verrebbe pure da ridere, perché siamo talmente assuefatti da stereotipi irrazionali che le stesse idee che ci vengono proposte (e imposte) negano di per sé ciò che (ci dicono) vorrebbero difendere! E questo ha del surreale…significa che possono dirci tutto e il contrario di tutto, ma noi restiamo lì, inermi come se nulla fosse. Stranamente abbiamo raggiunto un grado di assuefazione cronico proprio nell’epoca in cui dovremmo avere più strumenti per far valere il nostro diritto alla libertà.

E questo accade da qualsiasi prospettiva ci poniamo, da destra come da sinistra il risultato alla fine è identico: distorsione tra reale e finzione, il confine sfuma sino a comporre un corpo unico, una bolla che ci ingloba e rende assordante, innocuo, impotente qualsiasi pensiero critico.

Esempi? Ne bastano due, avvenuti sia da destra che da sinistra. Da una parte il tweet del Ministro dell’Interno Matteo Salvini (e non solo lui, basti pensare ciò che ha scritto Giorgia Meloni sui presunti omicidi compiuti da due magrebini…) sulla foto di Gabriel Christian Natale Hjorth, amico del reo confesso Finnegan Lee Elder, per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, ammanettato e bendato, scattata in caserma evidentemente da un carabiniere e diffusa sul web. Nel tweet il Ministro Salvini propone ai suoi centinaia di migliaia di followers un sondaggio: “voi pensate che si tratti di una foto choc?”

Prima premessa, la stessa Arma dei Carabinieri ha aperto un’indagine interna considerata l’azione compiuta in caserma “inconcepibile”. Seconda premessa, come confermato da diversi avvocati il danno d’immagine è palese, tant’è che la confessione del giovane americano potrebbe essere dichiarata nulla. Terza premessa, le norme dell’ordinamento italiano e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sanciscono il divieto di violenza e di tortura nei confronti dell’arrestato, considerati tra l’altro i diritti di un cittadino straniero. Quarta premessa, a fronte dei precedenti (Cermis e Amanda Knox) non è assurdo ritenere che la narrazione mediatica statunitense “spingerà” per lo stravolgimento dei fatti, con conseguenti “spinte geopolitiche”… Fatte queste dovute premesse passo al secondo tweet del Ministro Salvini, che in modo allusivo si chiede chi sia la vittima in tutta questa storia, e a chiare lettere da la risposta “l’unica vittima è un uomo, un figlio, un marito, un carabiniere, un servitore della patria!”

Capite bene che in questa risposta manchi qualcosa di fondamentale…ovvero il rispetto della verità e la caduta nell’irrazionalità. Innanzitutto perché qualcuno all’interno della caserma ha sbagliato, nel compiere quel gesto, nello scattare la foto e nel divulgarla. E un Ministro degli Interni non può non esternare pubblicamente questi fatti acclarati, ponendosi addirittura in contrasto coi vertici dell’Arma. Ovvio che la vittima di tutto questo sia il carabiniere Mario Cerciello Rega, non ci sono dubbi al riguardo, ovvio che la giustizia debba fare di tutto per trovare e punire i colpevoli, ma proprio per questo motivo quella foto deturpa e offende la memoria di Mario, come uomo e come carabiniere. E soprattutto calpesta il dolore dei suoi familiari. Creando peraltro gravi conseguenze nel proseguo delle indagini. Resta poi incredibile che un Ministro della Repubblica riduca in questo modo la complessità (e la gravità) di quanto accaduto diffondendo un linguaggio gretto e banale, infischiandosene delle regole e delle logiche istituzionali. Quello che si percepisce è un messaggio stereotipato e dunque lontano dalla complessità del reale, perché in un certo senso delegittima la stessa figura del Ministro degli Interni, che ricordiamolo resta pur sempre una carica a garanzia di tutela dello stato di diritto, soprattutto super partes. O almeno dovrebbe…

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Sull’altra sponda ideologica le nubi restano altrettanto fitte. A seguito di un articolo del quotidiano Libero che criticava Carola Rackete per essersi presentata in procura ad Agrigento a chiarire la vicenda della Sea Watch senza reggiseno, due ragazze torinesi di sinistra (Nicoletta Nobile e Giulia Trivero) hanno promosso la “giornata dei capezzoli liberi”, che siccome in italiano suona parecchio strano è stata tramutata in inglese (e anche qui si dovrebbe aprire un capitolo lunghissimo…) nella più glamour #freenipplesday. Una giornata di protesta e denuncia contro “l’ennesimo atto di prevaricazione sul corpo femminile”.

Cosa c’entri questo gesto simbolico, peraltro strumentale ai propri interessi di parte, rispetto al coraggio e alla grandezza di Carola Rackete nel compiere quello che ha fatto per salvare la vita dei migranti resta un mistero. La tendenza a banalizzare qualsiasi grande ideale o gesto coraggioso con il lancio di “campagne” e slogan propagandistici rende quel gesto virtuale, lontano dalla sua dirompente realtà. Insomma la realtà dalla sua straordinarietà diventa ordinaria, cliccabile, conformista, affine alle logiche del consumo…dunque destinata ad essere dimenticata.

Anche in questo caso ci troviamo dinanzi a un cortocircuito tra la complessità del problema (reale) e lo strumento banalissimo che mi viene chiesto per cambiare le cose (stereotipo del reale).

La sinistra contemporanea è priva di ardore per la lotta, quel desiderio che un tempo scaturiva per la difesa del popolo, in antitesi alla logica del consumo. Ora invece l’assorbimento di un pensiero liberal-consumista (che va oltre il suo essere progressista) è radicato nel suo DNA e porta a una deriva verso l’egoismo individuale di Stato, alimentato da un sempre più violento desiderio di tramutare il desiderabile in reale, l’impossibile in possibile… creando così dei vuoti che sempre qualcuno cercherà di riempire. Ieri come oggi.

Credo sussistano analogie specifiche tra queste due culture, seppur ideologicamente distanti in maniera siderale, ma così fortemente speculari nell’irrazionalità del loro essere.

E voi, dinanzi a realtà e immaginazione, che cosa preferite?

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Il sangue dei martiri

Poi uno degli anziani mi rivolse la parola, dicendomi: «Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove sono venute?» Io gli risposi: «Signor mio, tu lo sai». Ed egli mi disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Apocalisse 7

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La croix et la lumière

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Tra le rovine e il fumo dell’incendio a Notre-Dame sono rimasti intatti la croce e l’altare. All’arrivo dei primi soccorsi, nel buio un raggio di luce attraversa l’abside illuminando le macerie poste dinanzi alla croce. In quelle macerie ci siamo tutti noi, figli di questo tempo dove la corsa sfrenata della modernità individualista ci rende tutti inesorabilmente e costantemente in affanno, relegando l’uomo a merce da consumare e da sfruttare. Lasciandolo senza memoria, senza identità. La croce resta lì, intatta nella sua dignità nobile e misteriosa, nella sua imperiosità che fa sua la nostra fragilità e debolezza, accarezzata da quel fascio di luce che giunge a terra, sino a noi e alle nostre macerie, ai nostri drammi e paure. La croce resta lì e sembra volerle abbracciare le nostre macerie, come per rasserenarci: “Seguitemi, solo in me potete trovare ristoro e sicurezza”. Quest’immagine è un segno che non può lasciare indifferenti. Infonde speranza nei cuori impauriti dei nostri tempi, la croce resta lì a ricordarci che da 2000 anni la morte è stata sconfitta e che noi siamo stati salvati per sempre. La croix et la lumière, è un’immagine davvero sublime.

Una luce d’eternità nella notte

 

Notre-Dame

 

“Costruire e custodire”, due attitudini che hanno trovato il loro massimo splendore in quell’epoca che oggi il senso comune tende ideologicamente ad etichettare quale retrograda e buia, il Medioevo.
Un’epoca che invece con le sue cattedrali ha lasciato un’impronta di eternità, vivida testimonianza di una bellezza che non potrà mai svanire.
Oggi un terribile grido ricorda al mondo intero che il futuro poggia le fondamenta sulla memoria della propria identità. Ma è anche un grido di speranza che scuote le coscienze di tutti, ridestando i nostri cuori assuefatti, perché torniamo a costruire e custodire, per riscoprire il nostro essere, le nostre radici, il nostro avvenire.

Un grido che in questa Settimana Santa ci invita a diventare una luce nella notte, riflessi e testimoni di Colui che è Risorto e ha vinto la morte per sempre.

 

Il coraggio della pace

Un documento rivoluzionario…”la cultura del dialogo come via”. È la prima volta di un Papa in uno Stato che è parte integrante della terra considerata la culla sacra a Maometto, ma è anche la prima volta che un Papa e un rappresentante religioso musulmano, il Grande Imam sunnita di al-Azhar, Ahamad al-Tayyib, sottoscrivono un documento così coraggioso nei suoi punti chiave.

#Insciallah

https://www.avvenire.it/papa/pagine/documento-sulla-fratellanza-papa-ad-abu-dhabi?fbclid=IwAR0dCVADp8KfINd6qhgEYx21F4qZjlWNFF9d0E123OYpcyonb6wBZE8-dT0

 

papa francesco e imam

 

La borghesizzazione dei “diritti civili” e il ruolo del potere, di Pier Paolo Pasolini

Estratto del discorso di Pier Paolo Pasolini, letto al congresso di Firenze del Partito Radicale, il 4 novembre 1975, due giorni dopo il suo assassinio.

Si tratta di un discorso profetico e contro corrente, soprattutto perché formulato negli anni ’70, anni di rivoluzioni e lotte per i diritti civili. Il discorso di un uomo il cui atteggiamento caratteristico era la ricerca ossessiva e provocatoria della verità, al di là di qualsiasi pensiero conforme all’ideologia. Una ricerca della verità che lo rendeva libero di criticare i diritti civili tanto inneggiati dai radicali (pur essendo lui stesso incline al partito), quali l’aborto e il divorzio (e oggi si potrebbero aggiungere matrimoni e adozioni gay, utero in affitto, eutanasia), perché vedeva in essi un’identificazione tra sfruttati e sfruttatori, un conformismo che rende tutti omologati al potere.

La profezia di Pasolini si realizza nel nostro presente, dove il nuovo capitalismo, dopo aver creato la borghesizzazione dei diritti civili, “crea come presupposto alla propria ideologia edonistica, un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili.”

Un discorso che fa di Pasolini un testimone di autentica libertà e un uomo capace di vedere “oltre” la storia dei suoi tempi.

 

Perché è ora di dirlo: i diritti di cui qui sto parlando sono i “diritti civili” che, fuori da un contesto strettamente democratico, come poteva essere un’ideale democrazia puritana in Inghilterra o negli Stati Uniti – oppure laica in Francia – hanno assunto una colorazione classista. L’italianizzazione socialista dei “diritti civili” non poteva fatalmente (storicamente) che volgarizzarsi. Infatti: l’estremista che insegna agli altri ad avere dei diritti, che cosa insegna? Insegna che chi serve ha gli identici diritti di chi comanda. L’estremista che insegna agli altri a lottare per ottenere i propri diritti, che cosa insegna? Insegna che bisogna usufruire degli identici diritti dei padroni. L’estremista che insegna agli altri che coloro che sono sfruttati dagli sfruttatori sono infelici, che cosa insegna? Insegna che bisogna pretendere l’identica felicità degli sfruttatori. Il risultato che in tal modo eventualmente è raggiunto è dunque una identificazione: cioè nel caso migliore una democratizzazione in senso borghese. La tragedia degli estremisti consiste così nell’aver fatto regredire una lotta che essi verbalmente definiscono rivoluzionaria marxista-leninista, in una lotta civile vecchia come la borghesia: essenziale alla stessa esistenza della borghesia. La realizzazione dei propri diritti altro non fa che promuovere chi li ottiene al grado di borghese.

In che senso la coscienza di classe non ha niente a che fare con la coscienza dei diritti civili marxistizzati? In che senso il Pci non ha niente a che fare con gli estremisti (anche se alle volte, per via della vecchia diplomazia burocratica, li chiama a sé: tanto, per esempio, da aver già codificato il Sessantotto sulla linea della Resistenza)? E’ abbastanza semplice: mentre gli estremisti lottano per i diritti civili marxistizzati pragmaticamente, in nome, come ho detto, di una identificazione finale tra sfruttato e sfruttatore, i comunisti, invece, lottano per i diritti civili in nome di una alterità. Alterità (non semplice alternativa) che per sua stessa natura esclude ogni possibile assimilazione degli sfruttati con gli sfruttatori. La lotta di classe è stata finora anche una lotta per la prevalenza di un’altra forma di vita (per citare ancora Wittgenstein potenziale antropologo), cioè di un’altra cultura. Tanto è vero che le due classi in lotta erano anche – come dire? – razzialmente diverse. E in realtà, in sostanza, ancora lo sono. In piena età dei consumi.

Tutti sanno che gli “sfruttatori” quando (attraverso gli “sfruttati”) producono merce, producono in realtà umanità (rapporti sociali). Gli “sfruttatori” della seconda rivoluzione industriale (chiamata altrimenti consumismo: cioè grande quantità, beni superflui, funzione edonistica) producono nuova merce: sicché producono nuova umanità (nuovi rapporti sociali). Ora, durante i due secoli circa della sua storia, la prima rivoluzione industriale ha prodotto sempre rapporti sociali modificabili. La prova? La prova è data dalla sostanziale certezza della modificabilità dei rapporti sociali in coloro che lottavano in nome dell’alterità rivoluzionaria. Essi non hanno mai opposto all’economia e alla cultura del capitalismo un’alternativa, ma, appunto, un’alterità. Alterità che avrebbe dovuto modificare radicalmente i rapporti sociali esistenti: ossia, detta antropologicamente, la cultura esistente. In fondo il “rapporto sociale” che si incarnava nel rapporto tra servo della gleba e feudatario, non era poi molto diverso da quello che si incarnava nel rapporto tra operaio e padrone dell’industria: e comunque si tratta di “rapporti sociali” che si sono dimostrati ugualmente modificabili. Ma se la seconda rivoluzione industriale – attraverso le nuove immense possibilità che si è data – producesse da ora in poi dei “rapporti sociali” immodificabili? Questa è la grande e forse tragica domanda che oggi va posta. E questo è in definitiva il senso della borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei “rapporti sociali” immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia, com’è ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all’utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti marxisti ad una funzione socialdemocratica, sia pure, dal punto di vista storico, completamente nuova.

Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali, pazienti con tutti come santi, e quindi anche con me: l’alterità non è solo nella coscienza di classe e nella lotta rivoluzionaria marxista. L’alterità esiste anche di per sé nell’entropia capitalistica. Quivi essa gode (o per meglio dire, patisce, e spesso orribilmente patisce) la sua concretezza, la sua fattualità. Ciò che è, e l’altro che è in esso, sono due dati culturali. Tra tali due dati esiste un rapporto di prevaricazione, spesso, appunto, orribile. Trasformare il loro rapporto in un rapporto dialettico è appunto la funzione, fino a oggi, del marxismo: rapporto dialettico tra la cultura della classe dominante e la cultura della classe dominata. Tale rapporto dialettico non sarebbe dunque più possibile là dove la cultura della classe dominata fosse scomparsa, eliminata, abrogata, come dite voi. Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. E’ ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche – ed è tutto dire – di fascisti.

I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Ora, dire alterità è enunciare un concetto quasi illimitato. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C’è un’alterità che riguarda la maggioranza e un’alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell’aborto è un problema che riguarda la maggioranza. Infatti gli operai e i contadini, i mariti e le mogli, i padri e le madri costituiscono la maggioranza. A proposito della difesa generica dell’alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell’aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò – e voi lo sapete benissimo – costituisce un grande pericolo. Per voi – e voi sapete benissimo come reagire – ma anche per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male. Cosa voglio dire con questo? Attraverso l’adozione marxistizzata dei diritti civili da parte degli estremisti – di cui ho parlato nei primi paragrafi di questo mio intervento – i diritti civili sono entrati a far parte non solo della coscienza, ma anche della dinamica di tutta la classe dirigente italiana di fede progressista. Non parlo dei vostri simpatizzanti… Non parlo di coloro che avete raggiunto nei luoghi più lontani e diversi: fatto di cui siete giustamente orgogliosi. Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici: in questa massa di intellettuali, attraverso i vostri successi, la vostra passione irregolare per la libertà, si è codificata, ha acquistato la certezza del conformismo, e addirittura (attraverso un modello imitato sempre dai giovani estremisti) del terrorismo e della demagogia.

So che sto dicendo delle cose gravissime. D’altra parte era inevitabile. Se no cosa sarei venuto a fare qui? Io vi prospetto – in un momento di giusta euforia delle sinistre – quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita. Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione “creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”. Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.

pasolini4-1

 

Una scritta sublime

Stamattina stavo camminando quando a un certo punto mi sono trovato davanti questa scritta sublime, tanto vera…

Sembra quasi che l’autore abbia impresso sullo sfondo un cuore.

Il tempo è prezioso e spesso ce ne dimentichiamo. Preferiamo concentrare le nostre energie giudicando chi invece dovremmo imparare a guardare con amore. Meglio non perdere tempo dunque, anche perché amare senza giudizio ha un effetto terapeutico verso se stessi che tendiamo a svilire, ma è di fondamentale importanza per vivere davvero in pienezza: un’incrollabile pace interiore. 

 

foto vignate